LA FACCIA NASCOSTA DEL RICONOSCIMENTO FACCIALE
Il riconoscimento facciale è una tecnica di intelligenza artificiale, utilizzata in biometria per identificare o verificare l’identità di una persona a partire da una o più immagini che la ritraggono.
Il riconoscimento facciale avviene mediante tecniche di elaborazione digitale delle immagini ed è basato sul riconoscimento di pattern, in cui il pattern è un viso umano, trascurando tutto ciò che non fa parte del viso e che pertanto diviene solo parte del background.
Le applicazioni pratiche sono interessanti e derivano essenzialmente dalla possibilità di riconoscere la persona che si trova davanti ad una fotocamera, videocamera, webcam o altro dispositivo fotografico digitale. Lo stiamo utilizzando per l’identificazione dell’utenza di smartphone e computer, nel controllo di accesso di persone a determinate zone soggette a qualche limitazione, nella ricerca ed identificazione di una certa persona, se presente in apposita banca dati fotografica.
In questi ambiti, i big della tecnologia americana stanno già da anni lavorando alacremente.
Amazon dal 2016 propone alla propria clientela aziendale “Amazon Rekognition”. Il prodotto utilizza il deep learning, ovvero una tecnica di intelligenza artificiale per la ricerca di pattern. Nel caso di alcuni specifici esperimenti, realizzati nei dipartimenti di polizia della Florida e dell’Oregon, i pattern erano visi di persone che venivano confrontati in tempo reale con un database di individui sospetti.
Come possiamo immaginare, queste tecnologie permettono di superare velocemente il limite, sempre molto sottile, della violazione della privacy e dei diritti civili ed umani delle persone.
A tale proposito gli stessi azionisti ed investitori di Amazon hanno sollecitato la società a sospendere le vendite del software di riconoscimento facciale alle agenzie governative e a fare una valutazione indipendente per verificare se tale tecnologia non violi nei fatti o potenzialmente i diritti sopracitati.
Sia per questioni tecnologiche e sia per tali sollecitazioni, Amazon in effetti non utilizza il riconoscimento facciale nei suoi avveniristici negozi senza cassa “Amazon Go”, nei quali i clienti sono identificati tramite log in un’apposita applicazione e non tramite i loro dati biometrici.
Google possiede una serie di prodotti specializzati sul riconoscimento facciale, facenti parte della famiglia “Pixel”. Fermo restando il principale scopo, che è quello di controllare l’accesso allo smartphone dei soli utenti abilitati e supportare una serie di funzionalità fotografiche, sembra che tali sistemi abbiano evidenziato qualche incertezza nel riconoscimento di alcune forme facciali e tonalità di pelle, associabili soprattutto a persone di colore. Inoltre il New York Daily News ha evidenziato in un’inchiesta che, per aumentare i dati statistici del deep learning e per superare tale anomalia, loro fornitori hanno usato pratiche al limite della correttezza per carpire immagini a senzatetto e a persone disagiate di colore nei sobborghi di alcune grandi città americane. Per tali situazioni, Google ha successivamente limitato il reclutamento agli effettivi volontari, incrementando la trasparenza con maggiori informazioni sugli scopi dell’attività svolta.
Microsoft, che ha una serie di prodotti tra cui “Viso” e “Windows Hello”, tramite il proprio CEO in un recente forum economico, ha richiesto al governo statunitense maggiore attenzione sulla privacy, auspicando l’introduzione di una nuova regolamentazione, particolarmente riguardo alla tecnologia del riconoscimento facciale. A supporto delle preoccupazioni espresse, ha anche recentemente cancellato MS Celeb, un database con circa 10 milioni di immagini appartenenti a circa 100 mila personaggi pubblici, che veniva utilizzato per affinare i propri algoritmi di riconoscimento.
In Cina, il governo da anni palesa l’obiettivo di ottenere il primato tecnologico mondiale e l’ambito del riconoscimento facciale non fa certo eccezione. Huawei, Hikvision, SenseTime e Megvii sono leader del mercato cinese nel trattamento digitale delle immagini. Una recente inchiesta del New York Times ha rivelato che il riconoscimento facciale sembra sia stato utilizzato per monitorare, in alcune aree del paese, una minoranza etnica, considerata ostile al governo cinese, tramite 500 mila scansioni del viso al mese. Forse anche per questa ragione, il governo di Washington ha inserito queste società cinesi nella Black List dei fornitori sconsigliati alle aziende americane.
In Inghilterra, ha avuto molta eco la recente sperimentazione di un sistema di prevenzione del crimine, basato sul riconoscimento facciale, eseguito dalla Metropolitan Police in alcune aree della capitale londinese (Soho, Piccadilly Circus, Leicester Square e Westfield). I risultati però sono stati deludenti, poiché si è evidenziato un margine di errore dell’ 80%, ancora troppo elevato per impegnare la polizia in interventi di controllo basati su rilevamenti spesso errati. Agli stessi risultati si era già giunti in esperimenti simili, ma realizzati in territorio americano, a San Francisco, Somerville e Oakland.
Indipendentemente dalla maturità ed affidabilità della tecnologia utilizzata, in questo contesto vorremmo sottolineare la gravità di un uso spregiudicato ed incontrollato dei dati derivanti dal riconoscimento facciale, che può avere grave impatto sui diritti civili ed umani della persona (pensiamo al furto di identità, alle frodi economiche, alla divulgazione incontrollata di informazioni coperte da segreto professionale o relative all’ambito religioso, politico, etnico o sessuale e al pregiudizio alla reputazione che tutto ciò potrebbe comportare).
Fortunatamente, dal maggio del 2018, l’Europa possiede una legge restrittiva all’avanguardia nel diritto: il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali (GDPR). Grazie alla sua applicazione, in nessuno dei 28 stati membri dell’Unione Europea e pertanto neanche sul territorio italiano, è possibile raccogliere dati biometrici senza il consenso esplicito del diretto interessato. Inoltre tali dati, considerati dati personali particolari, non possono essere utilizzati se non in pochi specifici casi: in ambito di procedimento giudiziario, nel settore della sanità pubblica per finalità di sicurezza sanitaria o per motivi di interesse pubblico.
ACTION ICT è un’azienda di informatica giovane, dinamica e innovativa. Opera, sia a livello nazionale che internazionale, offrendo competenze professionali e soluzioni progettuali nell’ambito dell’ICT a clienti di medie e grandi dimensioni. Le nostre aree di eccellenza sono coperte da tre nostri centri di competenza: ACTION DATA (Big Data e Analytics), ACTION APP (Web & Mobile Application) e ACTION IOT (Intelligenza Artificiale, Internet of Things e Robotica).
Restiamo in contatto
Il più recente
- INTELLIGENZA ARTIFICIALE TRA…
- L’INFLUENCER COMPIE 16…
- CHE INFORMAZIONI SERVONO…
- ACTION ICT HA…
- DECIDERE, O NON…
- TUTTI POSSIAMO E…
- SMART CITY: OCCORRE…
- CHI HA BLOCCATO…
- DALLE LINGUE AGLI…
- UN PO’ DI…
- PER FAVORE ……
- SMART WORKING: A…
- SMART WORKING: SINTESI…
- ALTRE TECNOLOGIE VINCENTI…
- TECNOLOGIE VINCENTI TRA…
- ACTION ICT PARTECIPA…
- MANAGER DI SUCCESSO:…
- CYBERSECURITY: COSA SI…
- LEADER & INFLUENCER…
- PROGETTI & PARTNERSHIP:…
- SIAMO SEMPRE SOTTO…
- PROGETTI & PARTNERSHIP:…
- OPEN SOURCE ……
- ACTION ICT APRE…
- PROGETTI & PARTNERSHIP:…
- PROGETTI & PARTNERSHIP:…
- PROGETTI & PARTNERSHIP:…
- PROGETTI ICT INNOVATIVI:…
- PROGETTI & PARTNERSHIP:…
- ECOLOGIA: PENSARE IN…
- BIG DATA ANALYTICS…
- LE GRANDI AZIENDE…
- INTELLIGENZA ARTIFICIALE E…
- STRUMENTI BIG DATA…
- LA FACCIA NASCOSTA…
- SCHUBERT e l’INTELLIGENZA…
- INTELLIGENZA ARTIFICIALE contro…
- L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE AL…
- MACRO AREE DI…
- FIGURE NECESSARIE PER…
- LE NUOVE SFIDE…